Min Zo Lin, il Glande Dilettole!
Che Augusto “Pinocchiet†Minzolini sia ormai quasi ufficialmente il direttore del Tg1 con stipendio a carico nostro rappresenta non soltanto la giusta punizione per chi continua a pagare il canone. E’ anche il giusto coronamento di una carriera giornalistica che, nonostante i numerosi tentativi d’imitazione (Francesco Verderami sul Corrierone ne è il degno erede) rimane unica. Minzolini infatti è intanto l’unico esempio di giornalista che ha avuto l’onore di vedere coniato sul suo cognome un sostantivo (il “minzolinismo“) dal significato assai chiaro: “Forma di giornalismo che si basa sulla raccolta di dichiarazioni anche informali di uomini politici, senza alcuna verifica delle informazioni raccolte“. Parola dell’Annale del lessico contemporaneo italiano nell’edizione del 1996. Tredici anni fa, e sembra ieri.
Bei tempi, quelli, per il mitico Minzo: stava per rimediare una rubrica su Panorama ed era sempre pronto a pubblicare retroscena e interviste che immancabilmente venivano pubblicamente smentiti dagli interessati, a volte persino con strascichi giudiziari. Le informazioni il mitico Minzolini le rimediava in tutti i modi possibili, e il fatto che si vantasse privatamente di aver sentito una certa chiacchiera – sulla quale aveva costruito la solita articolessa – nel bagno della Camera, mentre stava espletando le sue funzioni fisiologiche, dà l’esatta dimensione del personaggio. Che, per fare un paragone con i classici latini, somiglia più a Cornelio Nepote Svetonio che a Sallustio: mentre il secondo raccontava la storia, il primo ritraeva i propri personaggi guardandoli dal buco della serratura. Un po’ come Lino Banfi che spia Edwige Fenech in quei film da segaioli degli anni ‘70.
Poi, la svolta: negli ultimi anni Minzolini è diventato il cantore ufficiale del berlusconismo in forma di retroscena retroscenoso retroscenante. E ormai mitica rimane nel ricordi di tutti questa meravigliosa “intervista†(lo metto tra virgolette per rispetto della parola) uscita in piena campagna elettorale, sulla questione Alitalia: “Inutile che gli altri ci scherzino su – esordisce il Cavaliere – la cordata italiana esiste, eccome. I nomi sono diversi, dalle banche a quelli che in questi giorni mi hanno confidato il loro interessamento. Da Ligresti, a Benetton. Poi naturalmente c’è Mediobanca. E ce ne sono molti altri, come l’Eni che ha tante risorse, che può partecipare direttamente all’operazione“. L’inchiostro sulle pagine della Stampa è ancora fresco quando Mediobanca ed Eni vergano alle agenzie di stampa una smentita dai toni talmente vibranti da far arrossire di vergogna qualsiasi professionista dell’informazione. A Minzolini invece gl’arimbarza, come dicono a Roma: “Ne ho presi due su quattro, sono ampiamente sopra la mia media!“, avrà anzi detto al direttore per giustificarsi . E il giorno dopo lui è pronto a lanciarsi in nuove avventure, cantando a squarciagola “Io diventerò qualcuno“. A noi non resta che tenere in caldo la pentola e preparare i popcorn: l’informazione è anche spettacolo, e che il Tg1 si dedichi all’avanspettacolo prima o poi dovevamo aspettarcelo. La cosa triste è che purtroppo il biglietto dobbiamo pagarlo lo stesso, anche se non ci va di godercelo.
Fa quasi tenerezza Massimo Giannini mentre chiede, si pensa a nome di Repubblica vista la prassi editoriale, quello che è capitato spesso che un giornale italiano abbia chiesto, ma che è raro siano state date per questo: le dimissioni del presidente del Consiglio. La motivazione risiede nel deposito – e nella conseguente pubblicizzazione delle motivazioni della condanna a 4 anni e 6 dell’avvocato David Mills: quest’ultimo “ha agito certamente da falso testimone da un lato per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l’impunità dalle accuse, o, almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati attraverso il compimento delle operazioni societarie e finanziarie illecite compiute sino a quella data, dall’altro ha contemporaneamente perseguito il proprio ingente vantaggio economico“. Le dimissioni non arriveranno mai, per questo Repubblica fa tenerezza.
Un po’ perché dal processo Berlusconi è già uscito grazie al Lodo Alfano – ieri sera a Studio Aperto il giornalista Luigi Galluzzo ha invece detto che era stato assolto – e la sentenza sulla sua posizione arriverà soltanto quando l’attuale premier avrà lasciato i suoi incarichi pubblici. Quindi, formalmente, una sentenza di colpevolezza non c’è – si dice il corrotto ma non il corruttore – e a dire il vero la stessa sentenza per Mills è tale soltanto in primo grado. Ci sarà un appello e una Cassazione, e con i tempi della giustizia italiana possiamo pensare che la parola fine arriverà forse fra tre o quattro anni. Che un presidente del Consiglio possa “autoesimersi†da un processo è una norma bizzarra, ma non del tutto assente nelle altre democrazie; d’altro canto, raramente c’è stato bisogno di scriverle ad hoc, leggi del genere, nelle altre democrazie.
Un po’ la richiesta di dimissioni fa tenerezza perché in Italia quando la stampa le chiede, raramente le ottiene. Memorabile, in epoca recente, la richiesta di andarsene piena di giri di parole rivolta dal Corriere – a firma Dario Di Vico – ad Antonio Fazio, rimasta persino senza risposta (le dimissioni arrivarono mesi dopo). “Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo“, scrive oggi Giuseppe D’Avanzo. Berlusconi forse andrà davvero in Parlamento a dirgliene quattro ai giudici, dopodiché il caso Mills passerà in cavalleria. Come sempre.