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Gen

#IncubatoreImpresa 3: il si degli incubatori universitari PNIcube

logo_pniVi aggiorno sulla questione #IncubatoreImpresa a Perugia mettendo di seguito la nota uscita dall’ultima riunione, è andata bene, manca solo l’approvazione in Consiglio ormai.

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Audizione dedicata all’ulteriore approfondimento del tema: “Incubatore di impresa tra Enti Locali ed Istituzioni Universitarie”. In occasione della riunione di oggi, in particolare, è stato ricevuto per un’audizione il Prof. Loris Nadotti dell’Università di Perugia e presidente del PNI Cube, realtà che riunisce tutti gli incubatori d’impresa universitari d’Italia: http://www.pnicube.it/

Il Professore ha riferito che la creazione di imprese spin-off in Umbria è iniziata circa 10 anni fa grazie alla normativa statale, introdotta nel 1999, che consentiva alle Università di partecipate alle cosiddette “start-up”. Quella in discussione, infatti, è un’attività che, necessariamente, deve essere coordinata dagli uffici universitari. All’uopo l’Ateneo perugino ha partecipato con successo nel 2006 ad un bando del Ministero per lo sviluppo economico aggiudicandosi fondi per la creazione di una società consortile (costituita per il 50% dall’Università, per il 25% da Sviluppumbria e per il 25% da un’azienda privata di Terni), la cui finalità originaria doveva essere quella di gestire le imprese spin-off. Questo obiettivo non è stato raggiunto, anche se l’azienda è comunque operante nel settore.

Nadotti ha altresì informato i commissari del fatto che, presso la Facoltà di Ingegneria a Santa Lucia, è cominciata da tempo la creazione di un ambiente (circa 500 metri quadri) destinato a divenire sede dell’incubatore. L’opera non è stata ancora completata per la mancanza dei fondi necessari. Il Prof. ha ricordato che gli incubatori non sono una novità per l’Umbria, visto che sono presenti in realtà come Città di Castello, Foligno, Spoleto ed Orvieto.

incubatore-impresaFacendo un resoconto di quanto fatto finora, Nadotti ha precisato che gli obiettivi fissati dall’Università sul punto sono stati centrati; dopo 10 anni di attività nel settore, molte imprese innovative sono ancora attive (circa 30), alcune con risultati prestigiosi (1 milione di euro di fatturato), altre con risultati più contenuti (100.000 euro e cifre simili). Il punto centrale di queste iniziative è sostanzialmente uno: occorre radicare nei giovani promotori l’idea che il rischio d’impresa è componente inevitabile in certe attività e che i fallimenti possono essere all’ordine del giorno. Ciò non significa, però, che, se l’idea è buona, non possa nel tempo avere successo.

Secondo Nadotti, indipendentemente dalle risorse, sono altri gli aspetti su cui le imprese devono essere coadiuvate per poter raggiungere il successo. Occorre, in particolare, che le stesse contengano innovazione, ma che siano nel contempo svincolate dall’Accademia, perchè non possono e non devono essere un’appendice di ciò che si fa dentro l’Università. Oggi, per il relatore, esistono tutti i presupposti in Umbria per puntare su questi obiettivi, specie nel settore agro-alimentare. Il problema di questo periodo storico è rappresentato dal fatto che, in un momento di crisi, vi è scarsa disponibilità da parte delle aziende nel finanziare queste imprese innovative, facendo mancare alle stesse le basi per potersi affermare sul mercato.

incubatore-impresa2Per il resto, Nadotti ha auspicato che il Comune manifesti la sua attenzione nei confronti del fenomeno, adoperandosi perchè queste iniziative vengano attivate dai giovani. Tecnicamente, poi, dovrà essere compito dell’Università dare impulso alla nascita delle imprese, supportandole per quanto possibile, ma senza imporre una guida che “provenga dall’alto”. Dopo i 3 anni dell’incubatore, i giovani imprenditori dovranno diventare completamente autonomi e continuare a svolgere la loro attività in modo totalmente svincolato dall’Ateneo. Ciò con il supporto di investitori (non le banche, ma altre aziende) che siano disponibili a fornire i cosiddetti “investimenti pazienti”, ossia destinati a produrre effetti anche dopo 5 anni o più. Questa, peraltro, rappresenta una operazione attualmente molto difficoltosa, sia per l’ormai noto periodo di crisi, sia per la ritrosità da parte dei promotori a condividere l’idea innovativa con altri soci. In conclusione Sadotti ha illustrato alcuni aspetti basilari: non bastano dei locali “fisici” per costituire un incubatore d’impresa; servono invece una società che gestisca l’incubatore, dando vita ad un comitato di selezione per le ammissioni, per l’individuazione dei settori d’impresa e per la definizione del periodo d’incubazione massimo (3-4 anni).

Altri servizi fondamentali, in parte già forniti oggi dall’Università, dovranno essere rivolti all’orientamento sul mercato, al supporto giuridico, alla redazione del piano d’impresa e gestione dello stesso. Il dato conclusivo è stato che oggi in Italia solo il 5% delle imprese start-up rimane “in vita”, anche se ciò non significa che il restante 95% fallisca. Non è infrequente, infatti, che molte aziende innovative vengano nel tempo assorbite da imprese più grandi, raggiungendo di fatto il successo.