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21
Lug

ATENEI: o chiusi o privatizzati

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Nei giorni scorsi il Senato Accademico dell’Università degli Studi di Perugia all’unanimità si è schierato a fianco di chi cerca in ogni modo di salvaguardare il nostro Ateneo, chiedendo di trovare nuove e comuni forme di protesta tra le componenti universitarie.

Questo perché le scelte di un governo miope in molti campi, ma in particolare in quello dei servizi alle persone, della formazione e della ricerca, non sono più scelte politiche, ma mere scelte economiche. Di fatto, non riuscendo più a tenere tutti insieme, ne a mettersi d’accordo su nulla, non avendo una idea solida e condivisa sul tema dell’Università, ne una progettualità per il futuro del paese, i ministri Gelmini e Tremonti non stanno nemmeno cercando di attuare una riforma vera ed organica dell’Università, di cui tutti sentiamo il bisogno, ma si sono abbandonati ad una svendita in saldo del nostro patrimonio di conoscenza e di innovazione.

Tutto questo, logicamente, non viene ne detto, ne spiegato.

Ma viene nascosto dietro ad una battaglia agli sprechi e al mito della razionalizzazione, che copre nient’altro che una marea di tagli che colpiscono i cittadini, senza neppure diminuire le tasse che rimangono invariate o, peggio ancora, aumentano sensibilmente, grazie vari stratagemmi di basso profilo da imbonitori del mercato paesano.

Le scelte intraprese non hanno la testa rivolta al domani, ma solo al pomeriggio dell’oggi, tentano con varie peripezie ed equilibrismi di mettere insieme il pranzo con la cena. Scelte che lasciano il tempo che trovano, campando alla giornata. Di certo non guardando in prospettiva, non puntano a costruire la ripresa e la crescita del nostro paese nei vari settori, ma il suo impoverimento sociale e culturale, di conseguenza anche economico.

Perché quei capitoli che escono massacrati dalle ultime scelte del governo sono, non a caso, gli stessi su cui investe il resto dei paesi, anche non ricchi ed avanzati, per costruirsi un domani migliore e più prospero. Un investimento sull’Università, sulla ricerca, sulla didattica, sulla formazione e, soprattutto, sulla crescita personale e collettiva di chi l’Università la vive e la interpreta non è altro che un investimento sul futuro.

Ma è naturale che in un governo in cui il Premier è più adatto a frequentare il reparto di geriatria, piuttosto che un’aula universitaria, veda il futuro come uno spreco ed una spesa da tagliare, anziché come un investimento conveniente e vantaggioso.

Siccome non c’è nulla di buono da aspettarsi, ben venga la forza e la capacità di farsi sentire di tutte le componenti universitarie, gli studenti è da tempo che organizzano forme di protesta creativa per far conoscere il problema, sensibilizzare le persone e coinvolgere la città. Ma forme di protesta condivisa non devono e non possono andare a colpire la principale componente del mondo universitario, gli studenti. La conoscenza è utile se viene trasmessa ed il sapere se viene condiviso, il mondo universitario esiste in funzione di questo principio. Sarebbe sterile una università senza studenti, una ricerca funzionale solo all’accumulo di nozioni e non alla loro trasmissione.

Insomma è necessario fare fronte comune nei confronti di chi le Università le vorrebbe o chiudere o privatizzare.

Per questo condivido la posizione riassunta nella nota che segue e presa dalla principale organizzazione studentesca della nostra regione, la Sinistra Universitaria – Unione degli Universitari, che anche nell’Assemblea d’Ateneo di ieri ha tenuto una linea ferma, ma equilibrata, sul tema dei tagli e dei provvedimenti che colpiscono l’Università degli Studi di Perugia.

SI A PROTESTE CONDIVISE, NO AL BLOCCO DEGLI ESAMI E DELLE LAUREE

In molte Facoltà dall’inizio del prossimo anno accademico molti corsi potrebbero non partire. I vari corsi tenuti dai ricercatori, in particolare, potrebbero risentire dell’effetto della protesta in atto. I ricercatori sono stati inquadrati da subito come un supporto alla didattica. Supporto che in particolare ha il ruolo di trasmettere la ricerca svolta normalmente all’interno dei singoli corsi. In realtà spesso i ricercatori sono veri e propri “tappabuchi” per poter tenere aperti i vari corsi di laurea. Ma questa loro disponibilità, del tutto volontaria, non è mai stata realmente riconosciuta.
Anche a causa della manovra economica del Governo, che va a gravare ancora più una situazione già fortemente sotto-finanziata e snaturata, molti ricercatori potrebbero non dare la propria disponibilità a tenere dei corsi di insegnamento e quindi a bloccare, almeno parzialmente, la didattica.
Questa posizione ovviamente non può che preoccuparci, in primis per il forte disagio in cui si trovano gli studenti. Ma è ovvio che non possiamo ignorare la condizione di sfruttamento in cui si trovano oggi i ricercatori, e soprattutto vediamo con estremo timore le modifiche introdotte dal DDL Gelmini. In pratica il governo vuole la scomparsa della figura del ricercatore.
Se però tutto questo è estremamente importante e sentito anche da parte nostra, non possiamo in alcun modo accettare una protesta che, più che creare un disagio agli studenti, metta studenti e ricercatori gli uni contro gli altri. Per quanto sia comprensibile il blocco della didattica, chiediamo con forza che non siano bloccate le sessioni di esame e di laurea, in primis quella del prossimo settembre-ottobre. E’ invece necessario trovare forme di protesta condivise e soprattutto rilanciare non solo la questione dei ricercatori, ma in una grande voglia di cambiamento per la nostra Università. Merito, valutazione e diritti devono essere alla base dell’Università che vogliamo. Il DDL Gelmini in questo senso lancia solo parole vuote che cadono di fronte al taglio dei fondi e del disegno di Università e Diritto allo Studio.
Vogliamo una vera riforma dell’Università, di certo non questa.